Cinema

CORPO CELESTE

CORPO CELESTE

Reggio Calabria: l’adolescenza e i cambiamenti di una ragazzina si intersecano con i piccoli fatti di una cittadina dell’Italia meridionale.
 

Nello sfarzo esteriore dei vestiti della domenica, l’autrice ritrova e svela tutte le contraddizioni di un mondo fragile, attraverso lo sguardo fresco della piccola protagonista.
 

Una parola ricorre nel film: cambiamento. Questo è il territorio di Marta: nuova è la sua casa, in una Calabria ritrovata dopo gli anni passati in Svizzera; nuova è l’aria in famiglia, in cui si avverte la mancanza del padre di cui nessuno parla; nuove le persone che vede e conosce.
Attraverso il suo profilo silenzioso, l’autrice demistifica fatti e atteggiamenti di un sud feroce, chiuso nella sua superficialità compatta.
 

Dai parenti, con i loro atteggiamenti da affettuosi parvenu, ai personaggi del paese, Marta si muove fra figure incerte: palpabile è la sua ricerca di risposte, fra adulti senza domande.
 

In questa sua mancanza di figure di riferimento, la parrocchia diventa il luogo della mediazione, il posto dove cercare una integrazione possibile (“Vai al catechismo, che ti fai gli amici”). Il tempo del corso preparatorio per la Cresima coincide così il suo tempo di cambiamento, obbligatorio e propiziato (“E poi la Cresima, meglio che uno la fa subito e non ci pensa più”).
 

Rispetto alla piccola comunità, la chiesa è ancora autorità indiscussa: la corruzione di Don Mario, la bontà fanatica di Santa, la stessa adesione superficiale dei credenti, che nel pellegrinaggio trovano il luogo giusto per mostrare cellulari nuovi e tailleur leopardati, sono eloquentissimi elementi di denuncia, efficaci proprio perché non sottolineati.
Allo stesso modo, la diversità di Marta rispetto al contesto in cui si muove è raccontata attraverso episodi semplici, la cui drammaticità è rafforzata proprio dalla mancanza di scoppi emotivi: per esempio, a tavola, per il compleanno della madre, nessuno accetta la torta che la bambina ha preparato.
 

La scoperta del proprio corpo si associa a tagli strettissimi, a dettagli che scompongono la figura. Nello stesso tempo, i campi lunghi sul paesaggio contribuiscono alla demistificazione del mondo esterno: la campagna abbandonata, fangosa e scoraggiante come una discarica, in cui il parroco predica ai fedeli;  la superstrada dove Marta si trova a camminare; l’entrata del paese di Don Mario, con le sue casette fantasma.
 

La scelta di un linguaggio crudo, privo di commenti e di sottolineature, rende l’opera prima di Alice Rohrwacher non solo fresca, ma anche viva, vera, vibrante: con un giusto e importante interesse a raccontare il Sud senza mai indulgere al folklore o alla caratterizzazione facile.